La fotografia è quell'arte e tecnologia resa possibile
dallo strumento denominato macchina
fotografica o fotocamera,
in cui si ottiene un'immagine statica
tramite un processo di registrazione permanente delle
interazioni tra luce e materia,
selezionate e proiettate attraverso un sistema
ottico su una superficie fotosensibile.
Con il termine "fotografia" si indicano tanto la tecnica per
riprendere le fotografie, quanto le immagini riprese
(«fotografie», o «foto»),
nonché, per estensione, il prodotto stampato.
L'estrema versatilità di questa tecnologia ha consentito alla
fotografia di svilupparsi nei campi più diversi delle attività
umane come la ricerca
scientifica, l’astronomia, la medicina, il giornalismo,
ecc., fino a consacrarla in alcuni casi come autentica forma d'arte,
nonostante il fatto che generalmente le fotografie non siano
direttamente frutto della nostra immaginazione e del nostro
operato, come usualmente lo sono un dipinto o un'illustrazione,
ma sono sempre e comunque il prodotto diretto di una macchina e
hanno come referente, per necessità, il mondo fisico.
Il termine fotografia deriva
quindi dalla congiunzione di due parole greche: luce (φῶς, phṑs)
e grafia (γραφή, graphḕ), per cui fotografia significa "scrittura
di luce".[3] La
fotografia è opera della luce e
nasce infatti da un principio fisico chiamato diffrazione,
che è una sua proprietà caratteristica. La camera
oscura e l'obiettivo
stenopeico formano il sistema più semplice ed elementare
della macchina
fotografica che racchiude in sé tutti i principi fisici
coinvolti in questa tecnologia. Naturalmente sono stati
necessari i risultati ottenuti sia nel campo dell'ottica,
sia in quello della chimica e
lo studio delle sostanze fotosensibili. La prima camera
oscura fu realizzata molto prima che si trovassero dei mezzi
chimici per fissare l'immagine ottica in essa proiettata; il
primo ad applicarla in ambito fotografico fu il francese Joseph
Nicéphore Niépce, cui convenzionalmente viene attribuita
l'invenzione della fotografia, anche se studi recenti rivelano
tentativi precedenti, come quello di Thomas
Wedgwood.[4][5]
Nel 1813 Niépce
iniziò a studiare i possibili perfezionamenti alle tecniche litografiche,
interessandosi poi anche alla registrazione diretta di immagini
sulla lastra litografica senza l'intervento dell'incisore. In
collaborazione con il fratello Claude, Niépce cominciò a
studiare la sensibilità alla luce del cloruro
d'argento e nel 1816 ottenne
la sua prima immagine fotografica (che ritraeva un angolo della
sua stanza di lavoro) utilizzando un foglio di carta
sensibilizzato, forse, con cloruro d'argento.
L'immagine non poté essere fissata completamente e Niépce fu
indotto a studiare la sensibilità alla luce di altre sostanze,
come il bitume di Giudea, che diventa insolubile in olio di
lavanda dopo l'esposizione alla luce.
La prima produzione con la nuova sostanza fotosensibile risale
al 1822.
Si tratta di un'incisione su vetro raffigurante papa
Pio VII. La riproduzione andò distrutta poco dopo e la più
antica immagine oggi esistente fu ottenuta da Niépce nel 1826,
utilizzando una camera
oscura il cui obiettivo era una lente biconvessa,
dotata di diaframma e di un basilare sistema di messa a fuoco.
Niépce chiamò queste immagini eliografie.
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