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Dalla fotografia allo scatto: le conseguenze dell'evoluzione tecnologica sull'arte del fotografare
Come è cambiato nel tempo il concetto di fotografia? Con l'introduzione di smartphone e social si è andati incontro ad un involuzione.Da macchine grandi ed articolate che producevano istantanee di ottima qualità, ma costose e destinate esclusivamente ad una élite sofisticata, a macchine digitali alla portata di tutti, dotate di una qualità tale da riportare addirittura le imperfezioni dei visi o i più piccoli dettagli di un paesaggio: così si è modificato nel tempo lo strumento della fotografia. Un cambiamento si è avuto anche nella modalità di ordinare le foto che è passata dalla semplice raccolta in un ricco e pesante album cartaceo, nel quale erano immortalate le tappe significative della propria vita, ad un vero e proprio nonché infinito book di immagini virtuali che ritraggono di tutto e non più i soli momenti speciali. Una vera e propria rivoluzione per la fotografia si è però avuta con l’introduzione degli smartphone sul mercato. Se in passato alcuni strumenti fotografici – anche per i loro costi – erano acquistati solo dagli appassionati e da coloro che volevano spendere del tempo nel ricercare la luce più adatta e la giusta inquadratura prima di premere il dito sul pulsante e farlo scattare, con gli smartphone – ed in parte già con alcune compatte molto economiche messe in commercio qualche anno prima – il concetto stesso di ‘fotografare’ si è involuto in quello di ‘scattare‘. Le immagini hanno preso il posto della parola scritta, come dimostra anche l’invasione sempre maggiore della comunicazione visual sui diversi social, e spesso purtroppo anche di quella parlata. Con uno smartphone sempre a portata di mano, da utilizzare come e quando si vuole, si finisce non solo con lo stare perennemente connessi ma con lo scattare compulsivamente. Il più piccolo, banale e semplice momento in cui si fa qualcosa, dall’assistere a un concerto, al provarsi un abito nel camerino di un negozio, al mangiare, viene immortalato e condiviso. Dunque, non si scatta più una sola volta per cercare l’immagine più bella, ma si cerca una perfezione propria, quella che spesso è condizionata da come vogliamo che gli altri vedano quella immagine e cosa vogliamo che vedano di noi, una unicità che in fondo il più delle volte non esiste perché gli scatti – così come anche i soggetti – hanno una resa sempre uguale, basti pensare ai cappuccini e ai caffè che invadono le bacheche virtuali con frasi di buongiorno. Come ha affermato Alfredo Sabbatini (reporter, ritrattista, professionista Nikon) nel corso della presentazione dell’Uni International Photo Contest il 16 giugno 2016 all’Università degli Studi di Salerno, “tecnicamente il mezzo è buono e la qualità per lo più standard“. In un mondo invaso da scatti via smartphone e dalla volontà di raggiungere unicità e accettazione sociale anche attraverso gli scatti fotografici, in una comunicazione real-time di sé, dei propri spostamenti, delle proprie azioni, anche nel normale quotidiano, una delle conseguenze negative – sottolineate da Sabbatini – è quella dell’atrofizzazione delle menti.Uno dei fattori che hanno contribuito allo scatenarsi di questa sorta di ‘dipendenza‘ dallo smartphone e della necessità di immortale ogni attimo risiede, infatti, nel bisogno umano di affiliazione e di condivisione che da sempre guida la vita sociale dell’uomo. E così, riprendendo le parole di una delle canzoni più popolari e ‘mainstream’ di questa estate 2016, “ogni ricordo è più importante condividerlo che viverlo“. La necessità di condividere foto – in tutte le sue forme, passando ovviamente anche per i selfie – dovuta all’incredibile possibilità offerta dalle piattaforme virtuali che consentono di compiere quest’attività in maniera immediata, accende un forte dibattito non solo sull’involuzione del termine ‘fotografia’, come spiegato prima, ma anche su quanto sia positivo l’atto della pubblicazione, per lo più continuo, di fotografie sulle bacheche dei vari social network . C’è chi lo ritiene un dato non preoccupante ed innocuo e chi lo ritiene estremamente dannoso anche per gli effetti che quest’azione continua può avere sulla persona. In supporto a queste ultime affermazioni, infatti, vi è uno studio che dimostra che la smania di fotografare ogni esperienza vissuta ha un impatto negativo sul cervello e sulla memoria, e, più precisamente, va a inficiare il processo di formazione dei propri ricordi legati ad uno specifico momento. Si presterebbe, infatti, maggiore attenzione all’atto di fotografare e di condividere che a quello che si sta osservando e vivendo. Il risultato? Una profonda incapacità di ricordare non solo l’oggetto degli innumerevoli scatti, ma anche tutto ciò ad esso connesso, come le emozioni provate, la compagnia, cosa dunque che va ad influire non solo sulla qualità del ricordo, ma soprattutto sulla modalità di memorizzare ciò che ‘attrae’.

 

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